Di bruschi cambiamenti, rinnegamenti e saltimbanco clamorosi la politica ne è piena. D’altra parte la storia non è mai lineare come può apparire ai posteri: è sempre tinteggiata da un vortice di ambiguità apparente, costellata da sottili equilibri che possono essere compresi in toto solo da coloro che effettivamente vissero un determinato evento o periodo storico. Così, ciò che di primo acchito può apparire solido, lampante e analitico va poi a complicarsi, sì da sembrare quasi in procinto di abbracciare il suo contrario.
È ciò che riscontriamo nelle intricate vicende che seguirono la firma del discusso e discutibile Trattato di Osimo che sancì – a detta della propaganda di stato – la definitiva conclusione della vicenda del Territorio Libero, con la sua spartizione tra Italia e Jugoslavia. La realtà è che si tratta di un trattato bilaterale tra due stati, che come tale non può in nessun caso prevaricare le clausole del Trattato di Pace del ‘47. Ma proprio questo trattato, che oggi risulta utilissimo a una certa destra per far breccia propagandistica sulla dogmatica sovranità dell’Italia su Trieste, venne all’epoca osteggiato e fortemente criticato dalla medesima. Ma procediamo con ordine.
Sul finire degli anni Sessanta, con il consolidamento della Jugoslavia quale stato chiave della sfera dei c.d. Stati non allineati (indipendenti idealmente sia da USA che dall’URSS) e il suo avvicinamento sempre più marcato verso Occidente, si presentarono i presupposti per un accordo bilaterale tra Italia e Jugoslavia (ovvero i due stati amministratori del Territorio Libero, rispettivamente della zona A e della zona B) per la «spartizione» delle zone amministrate. Nota bene che questa operazione era illegittima fin dal principio, giacché le zone erano appunto in «amministrazione provvisoria» da parte degli stati jugoslavo e italiano che non ne avevano la sovranità: equivalente a spartirsi un bene non proprio. Gli accordi vennero fatti in gran segreto, volendo mettere la comunità internazionale e – soprattutto – i cittadini dinanzi al fatto compiuto: il trattato poi non venne mai rettificato all’ONU, dove venne anzi aggiunta una nota (nella versione ufficiale bilingue inglese/francese) che esplica in maniera chiara che la registrazione di qualsiasi trattato o accordo presso l’ONU non implica una valutazione del suo segretario circa la natura, lo status delle parti contraenti ecc. per cui possono essere presenti anche errori e/o tesi che confliggono con altri trattati.
Ora, al di là degli aspetti giuridici, quello che è interessante è la risposta di protesta giunta a seguito della firma del Trattato di Osimo: e cioè la mobilitazione di quella destra e di quella sempiterna politica filo italiana che oggi ripropone costantemente il medesimo trattato per tentare di confutare le tesi dell’esistenza del Territorio Libero. Venne persino recuperato l’antico motto, opportunamente adeguato per l’occasione. “Contro Osimo, boia chi molla!”
Durante una protesta particolarmente accesa, i manifestanti missini arrivarono addirittura ad assaltare il consiglio comunale, che portò di conseguenza alla dissoluzione del governo comunale. Si paragonava inoltre l’assedio di Reggio Calabria del 1970-71 – dove lo stato fu costretto a mandare l’esercito per riprendere controllo della città – alla rivolta contro Osimo, al grido di “L’Aquila, Reggio, Trieste sarà peggio”.
A Trieste fortunatamente non si giunse a tanto, se non a semplici sassaiole e ad una protesta generale.
N.B. Speriamo si sia inteso il carattere ilare, giulivo del titolo di questo articolo.
NOTE
Il materiale per questo articolo è stato preso dal capitolo “Contro Osimo boia chi molla” del libro Pietro Trieste a destra, di Pietro Comelli e Andrea Vezzà, Edizioni il Murice – Trieste.