“Collotti Gaetano, di Alessandro e di Di Stefano Maria, da Castelbuono (Palermo), classe 1917, vice commissario aggiunto di P.S., Ispettorato Speciale di P.S. per il Venezia Giulia. In qualità di vice commissario di P.S., incaricato di procedere ad alcuni arresti di partigiani di una località del goriziano, venuto a conoscenza del probabile passaggio di elementi partigiani nemici in località prossima, accompagnato da pochi agenti, predisponeva un appostamento. Successivamente, rimasto solo, ne affrontava coraggiosamente alcuni armati, riuscendo a ucciderne uno, a catturarne un altro ed a ferirne un terzo che si dava alla fuga unitamente ad un piccolo gruppo posto in agguato nelle vicinanze. Tolmino (Gorizia) 10 aprile 1943.“
Motivazione del conferimento della medaglia di bronzo al sanguinario fascista Gaetano Collotti (Gazzetta Ufficiale del 16.01.1954, parte dedicata alle ricompense al valor militare).
A seguito della firma del Memorandum d’Intesa di Londra del 1954, l’Italia ricevette in submandato l’amministrazione della zona A del Territorio Libero di Trieste, mentre alla Jugoslavia spettò l’amministrazione della zona B. Non appena insediata, l’amministrazione italiana iniziò un processo di graduale avvicinamento e riunificazione istituzionale degli organi statali del TLT a quelli italiani, processo che ebbe in realtà inizio già nel 1952, quando funzionari italiani vennero inviati a Trieste allo scopo di collaborare con quelli anglo-americani nell’amministrazione della zona A. Tale scelta risultò ben presto infelice, vista anche la volontà alleata di porre fine alla questione triestina arrivando alla spartizione del Territorio Libero. L’operazione di riallaccio politico-istituzionale con l’Italia si svolse secondo il modello centralista che contemplava un regime commissariale «speciale», che si inseriva in linea di continuità con il sistema prefettizio di controllo burocratico e politico del vecchio stato, sistema adottato nel dopoguerra malgrado la Costituzione. Tale processo di «normalizzazione» – così venne definito anche ufficialmente – doveva passare attraverso la sorveglianza dell’opposizione di sinistra, la neutralizzazione del movimento operaio, l’insabbiamento o il rinvio delle riforme previste dalla Costituzione, assicurando così la saldatura politica fra Trieste e il resto d’Italia appunto in un’ottica «centrista», di certo non autonomistica.
Tale regime amministrativo portò anche all’applicazione – fatta con assoluta sollecitudine – del fascistissimo T.U. della legge di P.S. del 1931, oltre a tutta una serie di operazioni di controllo, discriminazione e schedatura politica di soggetti coinvolti in reati, tra i quali si contavano persino le multe commiate dalla vecchia amministrazione austriaca – in seguito venne applicata la legge Scelba, la quale escludeva gli elettori macchiatisi appunto di tali «reati».
A conferma della volontà italiana di «normalizzare» la situazione locale e di trattare la zona A alla stregua di territorio legittimamente italiano vi è l’invio a Trieste di una schiera di funzionari di polizia noti per le loro tendenze autoritarie, capeggiata dal questore Carmelo Marzano, senza contare i vari Mangano, Grappone, Guida ecc. Uno dei successori di Marzano sarà il questore De Nozza, il quale verrà in seguito incaricato alla formazione e organizzazione di un «Ufficio speciale di polizia politica», con compiti di informazione riservata, schedatura politica, intercettazioni postali e telefoniche – si trattava in pratica di un’anticipazione delle future operazioni affidate al generale De Lorenzo, capo del SIFAR.
L’insediamento di elementi fascisti o filo-fascisti nell’amministrazione pubblica finì naturalmente per favorire il MSI come partito prioritario dei soggetti aventi cariche pubbliche, fatto confermato dall’esistenza di radicate simpatie fasciste e di vocazioni autoritarie fra i quadri burocratici di provenienza «romana». Tra gli episodi più eclatanti, frutto di questo clima di simpatia con il vecchio regime, contiamo l’arresto del partigiano sloveno Igor Dekleva e la concessione della medaglia di bronzo al criminale sanguinario Gaetano Collotti (fucilato dai partigiani italiani nel 1945), figura di spicco del nefando Ispettorato Speciale di P.S. del Venezia Giulia operante al servizio delle SS.
Da un lato il Dekleva, che aveva avuto la famiglia distrutta dai nazisti, venne imputato di omicidio per aver ucciso in uno scontro a fuoco, durante l’occupazione tedesca, un sottufficiale di Polizia per sfuggire alla cattura da parte dello stesso Ispettorato; dall’altro il Collotti, noto sgherro a servizio dei nazisti, sanguinario che spesso utilizzava torture feroci al fine di far confessare l’inconfessabile(I), il quale venne insignito della medaglia di bronzo per aver neutralizzato, in un’azione a fuoco nel 1943, un gruppo di partigiani sloveni in località di Gorizia.
L’arresto il processo del Dekleva risultarono alla fine come nulla di fatto, ma lo stesso ebbe grossi problemi con la cittadinanza italiana, che gli veniva continuamente revocata. Persino da una richiesta fatta nel 1970, nonostante avesse studiato in un’università italiana, avesse sposato una cittadina italiana e vivesse da ventotto anni a Trieste, ricevette una risposta negativa. Rimase apolide per tanti anni, venendo poi naturalizzato appena nel 1985 in base alla legge 21/04/1983, che concedeva la cittadinanza a stranieri che hanno sposato una cittadina italiana.
Per quanto riguarda Collotti, al contrario e nonostante le numerose pressioni esercitate da innumerevoli associazioni, enti e persino dalla stessa giunta comunale di Trieste(II), la medaglia non gli venne revocata (in quanto deceduto) e non ci risulta che siano avvenute modificazioni seguenti.
Note
(I) A titolo esemplificativo, riportiamo la testimonianza di una donna finita sotto le «grinfie» della «banda Collotti»:
” Lo stesso giorno sono stata denudata completamente nell’ufficio di Collotti e percossa coi manganelli di ferro e calci. Sono stata percossa brutalmente per più di un’ora e più volte sono svenuta. Il 27 maggio 1943 mi hanno nuovamente denudata, mi hanno messo sulla cassetta di tortura e mi hanno percossa bestialmente col manganello. Mi hanno, con le sigarette e coi sigari, bruciato sotto le piante ed anche alla natura, strappandomi i peli del pube ad uno ad uno con una pinzetta. Anche alle mammelle mi hanno prodotto ustioni con sigarette accese… […] Quando il Ribaudo volle mettermi il tubo di gomma in bocca, poiché io tenevo la bocca chiusa, con un colpo del tubo stesso mi ruppe tre denti “
(II) Presso il Consiglio comunale di Trieste si registrò una condanna all’unanimità, infatti l’episodio fu aspramente commentato e denunciato dall’esponente del P.S.D.I. Giovanni Paladin, oltreché dai consiglieri del P.C.I., del P.S.I., del Fronte Popolare Sloveno. Il portavoce del neocostituito Partito Radicale, prof. Francesco Collotti, esortò a intervenire energicamente presso il governo, proposta accolta dal prosindaco Visintin della D.C., intervenendo presso il Ministero della Difesa. Il Piccolo, dalle ben note tendenze nazionalistiche, sminuì o – peggio – derise i fatti, utilizzando la sua pagina umoristica La Cittadella (che usciva ogni lunedì) per asserire che, posto che il Collotti aveva già pagato le proprie colpe con la vita, l’atteggiamento di alcuni partiti nei confronti del Ministero fosse fazioso, avendo esso solamente riconosciuto un atto di coraggio di un uomo.
Il materiale per questo articolo è stato preso dall’ottimo lavoro svolto dall’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, intitolato Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945-75, cap. L’amministrazione italiana.