Da più di un decennio l’attività economica del Porto franco Nord di Trieste (detto Porto Vecchio) è stata boicottata e le sue infrastrutture lasciate in uno stato di abbandono con il fine ultimo di poter avviare progetti di “riqualificazione” (leggesi speculazione) edilizia. Un episodio chiave è la recente approvazione della delibera sulla proposta di project financing dalla Costim con Elmet Srl e Impresa Percassi Spa per i progetti edili di “riqualificazione”del porto franco nord.
Per il nefasto piano, il comune intende usare i fondi comunitari erogati nell’ambito del programma NGEU – Next Generation EU per c.d. “progetti di rilancio sostenibile e innovativo”. Solamente una minima parte dei fondi richiesti dal Comune verrebbe effettivamente destinata a progetti di pubblica utilità. Ben 112 milioni di euro, pari all’80% delle richieste, sono infatti indirizzati verso la trasformazione urbanistica del “Porto Vecchio”, un’area che il sindaco Dipiazza e la sua giunta continuano erroneamente a presentare come proprietà del Comune, quando si tratta, secondo il Trattato di Pace di Parigi, di una zona internazionale su cui lo stato italiano non ha alcuna sovranità.
La falsa opposizione del centrosinistra al piano di Di Piazza, è a tutti gli effetti una chimera. Infatti, entrambe le ali politiche sono d’accordo nel “riqualificare” l’area in questione e hanno pesanti responsabilità sulla violazione del Trattato: il loro disaccordo si riduce semplicemente a una banale spartizione di appalti.
Si tratta di una frode su larga scala, che viola non solo il Trattato di Pace, bensì la stessa legge italiana. Un’operazione condotta a danno della comunità triestina e dei suoi interessi economici, e che ha come obiettivo ultimo la speculazione immobiliare a favore di pochi, a scapito di una risorsa di valore inestimabile.
Il Trattato di Pace del 1947 e la protezione del Porto franco Il Trattato di Pace di Parigi del 1947, firmato tra Italia e le potenze alleate, ha istituito il Porto franco internazionale di Trieste, designando il Porto Vecchio come una delle aree di maggiore rilevanza strategica. Il trattato in questione garantisce l’ ampliamento delle zone franche, ma ne vieta espressamente la riduzione o lo spostamento. Il Porto franco Nord, dunque, rappresenta non solo una risorsa storica, ma un bene inalienabile, vincolato dal diritto internazionale.
Nonostante ciò, da anni è in atto una manovra orchestrata per svuotare e paralizzare il Porto franco Nord, riducendolo ad un’area dismessa e inutilizzata al fine di giustificare la sua urbanizzazione e vendita. Questa manipolazione deliberata sta causando un danno incalcolabile all’economia locale, che potrebbe beneficiare della creazione di oltre 10.000 posti di lavoro diretti dalla sua piena operatività.
La frode della legge 190/2014: un colpo di mano politico
Uno degli episodi più gravi di questa strategia fraudolenta si è verificato con l’approvazione della Legge 190/2014, che ha introdotto la sdemanializzazione del Porto Vecchio in modo clandestino. Un emendamento è stato inserito nella legge di bilancio senza alcuna discussione parlamentare e approvato tramite un voto di fiducia, sottraendo di fatto l’area portuale al regime di Porto franco internazionale. Un atto che rappresenta una violazione palese delle leggi italiane e internazionali, eseguito con l’avallo di politici e speculatori, senza alcuna considerazione per gli obblighi imposti dal Trattato di Pace.
La sdemanializzazione è stata usata come strumento per agevolare la speculazione immobiliare, un’operazione economica ignobile che mira a svuotare un’area di importanza vitale per Trieste e per la sua economia portuale, trasformandola in uno strumento di arricchimento per pochi.
L’operazione di svuotamento del Porto franco Nord è avvenuta anche in violazione del DPR n. 714/1978, che prevedeva la bonifica del terrapieno portuale inquinato verso Barcola e la sua trasformazione in una grande piattaforma logistica su fondali da 18-20 metri. La necessità di questa nuova piattaforma era stata sottolineata anche dall’Associazione degli Spedizionieri del Porto di Trieste nel 1999, che evidenziava come fosse fondamentale sfruttare ogni spazio disponibile per sviluppare nuovi moli e banchine.
L’assalto al Porto: un tradimento delle leggi e della città Questa frode non è avvenuta solo con la complicità della politica, ma anche con la colpevole passività di chi avrebbe dovuto intervenire per tutelare gli interessi della città e garantire il rispetto delle leggi. Il governo italiano, che dal 1954 amministra il Porto franco di Trieste, in base a un mandato speciale derivante dal Memorandum di Londra, ha sistematicamente ignorato i propri obblighi internazionali.
Eppure, già nel 2010, l’allora Ministro degli Esteri Franco Frattini aveva ribadito, in una lettera ufficiale, che il Porto franco Nord non poteva essere ridotto, spostato o venduto. Una dichiarazione chiara e vincolante che avrebbe dovuto fermare qualunque tentativo di sdemanializzazione. Ma nonostante questa posizione ufficiale, la concessione del Porto franco Nord fu assegnata alla società Portocittà, una creazione ad hoc per procedere illegalmente all’urbanizzazione dell’area.
La Campagna di sabotaggio all’autorità portuale
Nel 2011, il governo Berlusconi aveva nominato Marina Monassi presidente dell’autorità portuale di Trieste. Una figura che si era impegnata a rilanciare il Porto franco Nord, ma il suo lavoro venne ostacolato da una feroce campagna di boicottaggio orchestrata dai media locali, politicamente controllati. Monassi riuscì comunque a organizzare un Convegno mondiale dei porti e delle zone franche nel 2013, attirando l’interesse di investitori internazionali. Nel febbraio 2014 venne aperto un bando di concessione per riattivare il Porto franco Nord, accogliendo in giugno otto domande che coprivano il 50% delle aree disponibili ed avviando nuovi contatti per il rimanente con altri investitori.
Il Porto franco Nord stava per venire rivitalizzato ma il suo impegno venne poi stroncato dagli allora parlamentari Francesco Russo (ora capogruppo del centro-sinistra) ed Ettore Rosato, che forzarono l’approvazione delle norme di sdemanializzazione nella Legge 190/2014, aprendo le porte alla svendita di un’area che appartiene di diritto ai triestini e alla comunità internazionale.
La frode nella frode – fatta la legge, trovato l’inganno
La Legge 190/2014 consente al comune di Trieste, per come è stata scritta, di decidere la destinazione urbanistica dei beni del “Porto Vecchio” e li obbliga a venderli tramite un’asta europea, versando l’intero ricavato all’autorità portuale. Quest’ultima è vincolata a reinvestire tali fondi esclusivamente nello sviluppo del Porto franco internazionale di Trieste. Qualsiasi altra azione del Comune su quei beni, sia di disposizione che di spesa, rappresenta una violazione della legge. Perciò, tali atti non possono ricevere finanziamenti pubblici ordinari, in quanto costituirebbero un danno erariale, né possono accedere a fondi comunitari europei.
Ma fatta la legge, trovato l’inganno. Nel 2016 il sindaco del PD, Roberto Consolini, chiese l’iscrizione tavolare sul Libro Fondiario di Trieste della proprietà dei beni del cosiddetto “Porto Vecchio” che fu eseguita dal Tribunale, violando anche i limiti imposti dalla Legge 190/2014. Il risultato è stata un’iscrizione ingannevole, che ha consentito al Comune di dichiarare falsamente di avere la piena proprietà dei beni, utilizzandola poi per giustificare deliberazioni, contratti e bandi di gara, in violazione delle norme vigenti.
L’ovovia: il coronamento della speculazione
Il coronamento della speculazione è senza dubbio il progetto dell’ovovia, una cabinovia che collegherebbe il centro città con l’altipiano carsico. Questo progetto, dal costo esorbitante di oltre 60 milioni di euro, è stato presentato come un’iniziativa per migliorare la mobilità urbana e incentivare il turismo. Tuttavia, appare sempre più evidente che l’ovovia rappresenta solo l’ultimo pretesto per giustificare ulteriori operazioni di sdemanializzazione, continuando a minare il Porto franco Nord.
Un appello urgente: fermare la distruzione del Porto franco
Quello che sta accadendo a Trieste è un vero e proprio attacco alla sovranità economica della città e ai suoi interessi storici. Le operazioni di sdemanializzazione e speculazione immobiliare, portate avanti dall’amministrazione italiana, hanno un solo fine: arricchire una classe parassitaria a discapito di tutti i cittadini.
L’applicazione del Trattato di Pace di Parigi e dell’allegato VIII sono la soluzione allo stato di abbandono del Porto Vecchio. Diventare a tutti gli effetti un Porto franco internazionale significherebbe investimenti e condizioni economiche migliori per tutti i lavoratori di Trieste e delle nazioni limitrofe. Se non si agirà ora, Trieste sarà sacrificata sull’altare della speculazione, e con essa il futuro economico di un’intera regione.