La chiusura del cantiere navale “S. Marco” del 1966

Estratto del giornale dell'epoca,
Estratto del “Piccolo” dell’epoca.

La chiusura del cantiere navale S. Marco nel 1966 fu sicuramente uno dei colpi più duri inferti all’economia locale da parte della bieca politica italofila assoggettata agli interessi d’oltreoceano. A seguito della decisione di applicare il piano CIPE (Commissione Interministeriale per la Programmazione Economica) – il quale prevedeva la “razionalizzazione” della cantieristica, riunendo in una società navale unica i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste e Monfalcone e ridimensionando notevolmente l’Arsenale San Marco – i lavoratori si mobilitarono in massa con scioperi e proteste, che culminarono con un grande corteo l’8 ottobre, a cui parteciparono circa 7000 persone. Nella cronaca dell’epoca leggiamo che “lo slogan predominante continua ad essere quello della creazione di un territorio libero”, questo anche tramite plebiscito, che col porto franco e defiscalizzazione risolverebbe la questione. La situazione parve subito tesa tanto che la protesta degenerò in scontri che portarono all’arresto di oltre 400 persone e 80 feriti, nonché all’intervento del gruppo “Celere” di Padova e dei nuclei mobili dei Carabinieri di Gorizia e di Udine. La città visse ore di vera e propria guerriglia civile, dove i manifestanti fronteggiarono i lacrimogeni della polizia con fitte sassaiole. Analizzando a posteriori i fatti nei documenti degli anni Novanta, emerge il fitto intreccio con l’organizzazione GLADIO, organizzazione paramilitare anticomunista supportata dallo Stato italiano in quanto facente parte dell’Alleanza Atlantica. Negli stessi documenti vi è tra le molte cose menzionata “l’Operazione Delfino”, svolta “tra Trieste, Monfalcone e Muggia” tra il 15 e il 24 aprile del 1966. Il documento specifica che “come già noto (…) si effettuerà una esercitazione nella zona di Trieste con la partecipazione del nucleo P/4 e un nucleo di evasione-esfiltrazione E/4 e la unità di pronto impiego Stella marina”. Molto interessante è il riferimento al documento del Cicciomessere[1], in cui leggiamo che a Trieste c’è una situazione politica insicura e instabile a causa del malcontento generale legato alla decadenza dall’economia locale, decadenza a cui lo Stato è interessato solo in apparenza. Si legge infatti: “il governo, pur apparentemente dimostrando di interessarsi alla situazione locale economica, sociale e sentimentale, in effetti non concorre in alcun modo al suo risanamento, e si astiene da qualsiasi effettivo e costruttivo intervento“.

Il gioco consisteva nel fomentare il malcontento – arrivando addirittura ad organizzare “eventuali atti di terrorismo da addebitare agli insorti” come anche ad effettuare “azioni di disturbo nelle manifestazioni al fine di creare piccoli incidenti atti a stimolare la reazione[2] – con il fine ultimo di ascrivere i disordini ai comunisti, dicendo che “il Pci fomenta le lotte” e che “in talune zone dell’Italia settentrionale gruppi di estremisti, guidati e sostenuti dalla Jugoslavia, stanno promuovendo una situazione che all’attenzione degli elementi più sensibili appare contenere tutti i germi di una possibile più vasta situazione di insorgenza“.

L’unica vittima di queste oscure lotte fra grandi potenze ed interessi occulti fu proprio Trieste, con la sua economia e la sua struttura socio-politica frantumate, il malcontendo sociale imperante, nonché teatro di aspre lotte interne fra triestini, assoggettati inconsapevolmente a questi giochi perversi di dominatori stranieri. Perché Trieste, in quanto libera e indipendente, non avrebbe dovuto partecipare alle vicende che vedevano drammaticamente coinvolta l’Italia del dopoguerra, ma avrebbe dovuto essere, al contrario, quasi “un’oasi” di pace, stabilità economica e sociale, testimone silenzioso della cultura mitteleuropea che contribuì, un tempo, a renderla grande.


Note:

[1] Roberto Cicciomessere, deputato della XI legislatura tra il 1992 e il 1994, da cui il documento: http://www.misteriditalia.it/servizisegreti/gladio/delfino/Gladio(OperazioneDelfino).pdf
[2] Ibidem

Per approfondimenti segnaliamo l’ottimo articolo di Nuova Alabarda al LINK

 

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