Intervista al Dott. Silvano Subani

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Intervista al Dott. Silvano Subani, classe 1928, ex sergente della polizia civile. 

Intanto Lei di nome come fa? (breve biografia)

Mi chiamo Subani Silvano. Ci hanno aggiunto la i perché mio papà (classe 1900), essendo richiamato nel 1918 alle armi e avendo fatto la scuola di architettura, divenne sottotenente del genio (rimanendo poi un paio di anni) ma dovette diventare Subani. Tant’è vero che suo fratello e i miei cugini si chiamano Suban, siamo originari di Prepotto.
In ogni caso sono nato nel 1928 (ragione per cui farò 95 anni il prossimo marzo), a scuola mi hanno prelevato i tedeschi e mi hanno mandato al servizio di lavoro, in classe con me c’era anche Francesco Paglia che divenne poi combattente. 

Finita la guerra Trieste venne occupata dagli jugoslavi: per noi fu una tragedia. Perché ripeto e comunico a tutti che Trieste è italianissima: qua parliamo tutti l’italiano, e uno sloveno dovrebbe per rispetto saper parlare l’Italiano. Qua è tutto italiano, cultura, opere, tutto. Però non siamo italiani.  Trieste città italianissima ma non italiana. Questo perché abbiamo avuto 500 anni l’Austria, che ci ha aperto la possibilità di avere un porto allora collegato con Suez: arriva qua l’Italia, “ne incioda” per venti anni, fa baruffa con gli sloveni (i quali sono nostri amici) ecc. L’errore gravissimo dell’Italia fu di non aver messo, non dico direttamente il bilinguismo, ma perlomeno l’insegnamento della lingua slovena in tutte le scuole, perché va fatto.

Anche dal punto di vista religioso vi fu una frattura, perché veniva vietato di fare le prediche in sloveno: le donne che non sapevano parlare l’italiano non capivano niente. E Trieste come diocesi non ha mai risolto questo problema.  

Dopo 42 giorni vennero gli inglesi, che ci salvarono, mandando via gli jugoslavi. E poi il Trattato di pace costituì il Territorio Libero, con due zone: una amministrata per nove anni dal GMA e una jugoslava amministrata dal governo di Belgrado, quindi non da Lubiana, ma dal governo centrale jugoslavo. Qui avevamo una nostra moneta e le nostre leggi, anche se molte leggi italiane vennero lasciate in vigore perché per diritto internazionale non è possibile cambiare le leggi immediatamente; per cui si applicano, ove possibile, e non in contrasto, le leggi preesistenti in attesa della definizione dei confini e della sovranità, parola su cui non sono capace di dire nulla, perché non so se c’è ancora o se non c’è. Certamente, il Trattato ha costituito il Territorio Libero e nel marzo del 1953 –  d’accordo l’Italia, la Jugoslavia, l’America, l’Inghilterra e la Russia – si decide di dare all’Italia l’amministrazione della zona A, e alla Jugoslavia la zona B. Gli Americani però “vendono” la zona B alla Jugoslavia, perché volevano avere uno stato cuscinetto con la Cortina di ferro. 

Questa è la storia di Trieste, che nessuno vuole riconoscere.

E, nota bene, che quei famosi fatti del ‘53 non avevano scopo: era già stato deciso che qua sarebbe venuta l’Italia. Perché dunque fecero “quel casin”? Perché volevano buttare giù la prefettura. E noti bene che le bombe a mano che vennero buttate il giorno dopo – anche da Paglia, quello che veniva a scuola con me, e da tanti altri – vennero gettate contro la prefettura in cui vi era il presidente di zona Paluta, quindi praticamente le tirarono [le bombe, n.d.r.] contro un funzionario italiano, non è che mandavano via gli inglesi. Cosa volevano fare guerra all’Inghilterra dopo averla persa?

E, inoltre, quello che è morto, Zabadin, prese la pallottola nella spalla. Per cui c’entrano i servizi segreti italiani, c’è poco da fare. Mentre gli altri quattro vennero fatti fuori perché tiravano bombe a mano contro la prefettura. 

Ma Lei all’epoca che grado aveva nella polizia civile?

Sergente. Non ho partecipato a questi fatti, io ho partecipato solo di notte quando hanno assaltato la sede del Fronte per l’Indipendenza, perché disturbava.

E che ordini ricevette?

Ordine pubblico. Oramai era già stato devastato, ma si voleva evitare che ricominciassero ad appiccare il fuoco. Ci hanno messo là a presidiare tutta la notte, la mattina poi siamo tornati a casa e vennero altri. 

Su questo consiglio un libro molto ben scritto – intitolato I morti del ‘53 – della professoressa Millo che insegna a Bari, dove spiega tutti i retroscena recuperando anche i documenti di Londra. Su questo non si vuole parlare. Perché quelli sono stati morti che non occorreva fare. 

Ma quindi l’inizio della cosiddetta Rivolta di Trieste non fu diciamo popolare, ma venne orchestrata dai servizi segreti?

Per quello che ne so io c’erano i servizi segreti italiani. A noi poliziotti ordinarono di reprimere ogni tentativo italiano perché, se un soldato italiano in divisa avesse varcato il confine, immediatamente anche gli jugoslavi sarebbero potuti entrare. 

Poi c’è la questione dei triestini che emigrarono all’estero. Tutti i ricercatori che non erano d’accordo col PD – col sessantotto – sono all’estero. 

Cambiando discorso ci interessava sapere com’era il clima in quegli anni in città, tra il ‘47 e il ‘54. Sarà stato teso, come lo viveva…

Il clima era sempre acceso. Quando c’erano manifestazioni italiane intervenivano quelli di Cavana e di Viale, tra cui il noto picchiatore fascista Menia. Anche tra gli sloveni c’erano nazionalisti duri – forse erano più nazionalisti loro degli italiani di Trieste. Quando venivano giù dovevamo contenere entrambe le parti. Devo dire che non è mai successo niente. Hanno manifestato, hanno fatto casino, noi abbiamo avuto dei feriti, loro pure. Ma tutto sommato si ridusse a questo.

Poi bisogna considerare che nei primi due anni non c’era ancora il Trattato di pace, per cui la Jugoslavia si sentiva forte della sua vittoria, perché l’Italia ha perso la guerra, bisogna ribadirlo.   

Invece a livello economico qual era il soldo all’epoca nel TLT?

Prima c’erano le AM Lire. Io ne ho ancora a casa, sarebbe da fare una mostra…
Dopo vennero le lire, perché come ho detto le leggi italiane rimasero. Invece nella zona B c’era un dinaro speciale, non quello Jugoslavo. 

Dirò di più. Io all’inizio facevo servizio di istruttore nella scuola ufficiale, dove non hanno mai voluto riparare una garitta dove io volevo mettere una targa per ricordare la polizia civile, perché lì c’era la nostra scuola. Là abbiamo imparato a fare la polizia come a Londra, eravamo la migliore polizia del mondo a detta degli altri, non a detta nostra. Non vogliono ricordare, perché disturba.  Ebbene, un giorno ci chiesero chi di noi sapeva parlare sloveno: perché, dicevano, che quando sarebbe stato costituito il TLT anche gli allievi della zona B probabilmente sarebbero venuti alla nostra scuola per imparare a fare i “cerini”. 

In ogni caso la parte economica era meravigliosa, perché gli americani erano pieni di soldi, bar e locali pieni, serate di ballo, musica jazz di cui eravamo tutti innamorati. 

Come funzionava l’organizzazione della polizia (per le chiamate, la gestione ecc.)?

883 – nel 1946 questo era il numero per l’emergenza. Inoltre già all’epoca avevamo le radio in macchina. 

Quanti anni aveva quando entrò in polizia?

Entrai nel ‘47, a 19 anni. Poi quando venne l’Italia entrammo nella polizia italiana, anche se io poi andai a fare trent’anni l’impiegato all’università. Poi lì conobbi il sessantotto con gli studenti, per cui potrei dire molto su Trieste. 

Qua è sempre mancato il ricordo degli Alleati: è come se ci avessero occupato, quando in realtà ci hanno liberato. 

Quando era in polizia civile, c’è stato qualche momento in cui si temeva che potesse scoppiare una guerra con gli jugoslavi?

No. Perché avevamo gli angloamericani alle spalle. 

Ancora una cosa: Lei ha scritto anche un libro sul tema, giusto?

Sì. Si intitola La polizia triestina e parla solo della polizia civile con i riferimenti ai fatti e ai “casini” che ci sono stati ecc. Edito da Luglio.

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