Nel precedente articolo abbiamo delineato l’inquadramento storico, i presupposti e il clima politico-culturale entro i quali si sviluppò il Risorgimento italiano, inteso come moto sovversivo nei confronti delle istituzioni e degli enti tradizionali.
Qui vogliamo ricostruire storicamente i vertici e i punti salienti dell’assalto massonico alla tradizione.
Una volta sconfitto Napoleone nella Battaglia di Lipsia del 1813, altrimenti nota come Battaglia delle nazioni, e confermata la vittoria nella Battaglia di Waterloo (che si svolse già durante il Congresso di Vienna), l’Europa si apprestò a ristabilire i rapporti di potenza esistenti prima dello sconvolgimento napoleonico, ripristinando i confini precedenti il 1805 e riportando sui troni i legittimi regnanti. La portata dell’assalto della Grand armée ebbe comunque un effetto indelebile e il decennio di occupazione francese mutò irrimediabilmente e nell’intimo la concezione di Stato rispetto a come la si intendeva in precedenza; non che gli altri imperatori europei, prima dello sconvolgimento napoleonico, fossero scevri dalle idee liberali e illuministiche, ma la loro concretizzazione violenta per mezzo degli eserciti francesi, il diktat imposto dalla Francia in nome della « rivoluzione » e del Terzo stato, e infine la detronizzazione da loro stessi subìta devono aver avuto un ruolo determinante nel « cambio di prospettiva », ora restauratrice e conservatrice, del Congresso di Vienna. Emblema della sconfitta del mondo tradizionale è senza dubbio il crollo inglorioso di quel Sacro Romano Impero che vantava la sua fondazione da parte di Carlo Magno, l’imperio che rappresentava ancora lo spirito romano-germanico (guerriero e ascetico allo stesso tempo) ed esisteva in adventu regis – in attesa che tornasse il vero Re, Gesù Cristo – che cadde per sempre, sopraffatto dalla pressione della armate francesi.
Ora, dopo la Restaurazione viennese, che in parte aveva recuperato l’antico spirito, l’azione delle logge si condensa nello scopo ultimo di rovesciare il prima possibile e in maniera efficace il nuovo assetto politico europeo. Se le rivoluzioni, quindi lo scontro diretto, risultavano assai ardue e dispendiose per un esito vittorioso, nondimeno contribuivano a tenere il nemico sulla difensiva, mantenendolo costantemente sotto pressione. Così, anche se le rivoluzioni del ‘21 e del ‘31 fallirono – e analogo esito ebbero anche quelle (ben più corpose) del 1848 – esse raggiunsero comunque indirettamente il loro scopo, preparando il terreno per la vittoria finale.
L’inizio della vittoria delle forze massoniche può essere considerato il fatidico 1848, quando il mondo della Restaurazione dimostrò evidentemente i suoi limiti e, se vogliamo, la sua inconsistenza politica e spirituale.
I moti del 1848
Partendo proprio dalla « Primavera dei popoli » , appare evidente la naturale contrapposizione tra i rivoluzionari e l’Austria, grande potenza cattolica, e l’anomalia dello Stato pontificio, con il pontefice che paradossalmente abbraccia, almeno in un primo momento, la causa massonico-rivoluzionaria, schierando l’esercito pontificio a fianco dei rivoluzionari. Con questo, firma inconsapevolmente la propria condanna, che lo porterà in seguito ad essere esiliato da Roma, per perdere poi, con la breccia di Porta Pia, la quasi totalità del territorio dello stato pontificio. Questo atteggiamento appare curioso anche per il fatto che il papa precedente, Pio VII, condannò la setta dei Carbonari(II) e scomunicò i suoi aderenti. Lo stesso Garibaldi non si risparmia, nelle sue memorie, a definire papa Pio XII « un metro cubo di letame »(III), il papato come « acerrimo nemico dell’Italia e dell’Unità »(IV), scorgendo nel prete « la più nociva di tutte le creature, perché egli più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli ».(V)
Lo stesso tricolore carbonaro – cioè l’attuale bandiera italiana – altro non è che un vessillo massonico, appositamente studiato – il rosso rappresentando il Gran Maestro, il bianco il Massone e il verde l’Iniziato.(VI) Sbandierato per la prima volta dai francesi nella cosiddetta Repubblica Cispadana, il tricolore venne poi riproposto durante il Risorgimento, quando Mazzini lo scelse come simbolo della Giovine Italia e Garibaldi e le sue truppe lo adottarono come bandiera di guerra.
Così operando i fautori dell’unità d’Italia resero un grosso servizio alla causa massonico-sionistica di porre gli antichi regni e il potere temporale sotto il dominio bancario incontrastato.
Gli ebrei di Trieste
La posizione degli ebrei di Trieste nei confronti del ‘48 fu, come da tante altre parti, duplice, a ulteriore riprova che non gli ebrei in quanto tali, bensì l’élite sionistica è quella che utilizzò l’Unità per i propri scopi. Così, se a favore dell’unità erano specialmente giovani studenti, giornalisti, aspiranti artisti e liberi professionisti provenienti dalla media borghesia cittadina, gli ebrei più anziani rimanevano in genere leali allo stato, con la parentesi di quelli apertamente filoaustriaci. Dopo la fallita insurrezione di Trieste (23 marzo), appariva sempre più marcata la frattura generazionale fra i figli e i padri, i quali spesso non riuscivano a comprendere le scelte rivoluzionarie dei figli. D’altro canto fra gli ebrei fedeli alla monarchia si contano « […] anche ebrei appartenenti al ceto-medio e alto, uomini maturi, colti e in alcuni casi […] profondamente legati alla tradizione dei padri. Costoro presero privatamente e talvolta anche pubblicamente posizione in favore delle scelte dell’Austria, giudicando il male minore per il futuro progresso economico e sociale della città. Essi si dichiararono soddisfatti delle disposizioni liberali sulla libertà di culto previste nella Costituzione del 25 aprile 1848, e su questa linea si trovarono concordi anche con la comunità ebraica, che si rivelò particolarmente cauta e misurata nelle sue manifestazioni esteriori, mentre al suo interno dovette affrontare un periodo travagliato di contestazioni individuali unite ad una maggiore richiesta di autonomia da parte degli iscritti. »(VII)
Conclusione
Seppure i rivoluzionari dovettero infine soccombere sotto le armate di Radetzky, e l’autoproclamata Repubblica romana si arrese dopo mesi di bombardamenti francesi, e venne – almeno in parte – ristabilito l’antico ordine, questo non fu che un rallentamento momentaneo, un momentaneo risorgere di un corpo sociale – cioè l’Europa della Restaurazione – già defunto, in attesa di crollare definitivamente.
Ciò avvenne, nel caso dell’Italia, appena undici anni dopo, con la Battaglia di Solferino, in cui l’armata combinata sabaudo-francese sconfisse la possente – ma mal guidata – armata austriaca del giovane imperatore Francesco Giuseppe. Per favorire l’intervento francese Cavour, negli anni tra il ‘48 e il ‘59, abbozzò per la prima volta quell’opportunismo e ipocrisia che diverranno poi tipici della politica italiana, partecipando per il solo proprio tornaconto alla Guerra di Crimea.
La guerra – che risulterà disastrosa per la Russia – fu forse intesa anche un mezzo per «punire» la Russia, colpevole di aver contribuito con gli austriaci a fermare le insurrezioni nella parte orientale dell’Impero.
L’epilogo è a tutti noto, e l’abbiamo già descritto nel precedente articolo: la dissoluzione definitiva degli ancien régime, la detronizzazione dello zar e l’imposizione di una dittatura comunista, molto affine agli interessi sionisti; la dissoluzione degli Imperi centrali e un ulteriore ridimensionamento del potere papale, con un primo passaggio dall’asse cattolico-tradizionale dell’Austria a quella protestante-modernista della Prussia e della Francia, giungendo infine all’ateismo di stato comunista e sovietico.
Nella penisola l’Unità portò a depraudare l’ex Regno delle due Sicilie, che vantava la flotta più potente d’Europa – seconda solo a quella inglese -, un debito pubblico minimo, notevole riserve di oro, varie opere pubbliche in corso e le tasse più leggere d’Europa.(VIII) In risposta a questa «liberazione » non richiesta sorse il brigantaggio, presentato dalla storiografia ufficiale come il peggior crimine quando in realtà altro non fu se non la risposta di un popolo alacre e affatto disposto a farsi occupare col pretesto di essere « liberato ».
Da qui la mafia, la malavita organizzata, e tutte queste forme di illegalità sotterranea che si ritrovano ancora oggi.

NOTE
(II) Nella bolla Ecclesia a Iesu Christo, in cui si condanna i Carbonari, leggiamo:
« La Chiesa fondata da Gesù Cristo Salvatore Nostro sopra solida pietra (e contro di essa Cristo promise che non sarebbero mai prevalse le porte dell’inferno) è stata assalita così spesso e da tanti temibili nemici, che se non si frapponesse quella promessa divina che non può venir meno, vi sarebbe da temere che essa potesse soccombere, circuita dalla forza o dai vizi o dall’astuzia. Invero, ciò che accadde in altri tempi si ripete anche e soprattutto in questa nostra luttuosa età che sembra quell’ultimo tempo preannunciato in passato dall’Apostolo: «Verranno gli ingannatori che, secondo i loro desideri, cammineranno nella via dell’empietà» (Gd 18).[…] essa favorisce senza alcun pudore le voluttà più sfrenate; insegna che è lecito uccidere coloro che non rispettarono il giuramento di mantenere il segreto, cui si è fatto cenno più sopra; e sebbene Pietro principe degli Apostoli (1Pt 2,13) prescriva che i Cristiani «siano soggetti, in nome di Dio, ad ogni umana creatura o al Re come preminente o ai Capi come da Lui mandati, ecc.», sebbene l’Apostolo Paolo (Rm 3,14) ordini che «ogni anima sia soggetta alle potestà più elevate», tuttavia quella società insegna che non costituisce reato fomentare ribellioni e spogliare del loro potere i Re e gli altri Capi, che per somma ingiuria osa indifferentemente chiamare tiranni. […] » Tratto da: https://www.vatican.va/content/pius-vii/it/documents/bolla-ecclesiam-a-jesu-13-settembre-1821.html
(III) G. Garibaldi, Scritti politici e militari. Ricordi e pensieri inediti, Voghera, Roma, 1907, a cura di Domenico Ciampoli, pp. 523-25.
(IV) G.. Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, Bologna, Cappelli, 1935, Voi. II, p. 397.
(V) Ivi, Bologna, Cappelli, 1937, Voi. III, p. 334.
(VI) Tratto dal sito dell’Associazione Alta Terra di Lavoro (https://www.altaterradilavoro.com/la-bandiera-tricolore-e-un-vessillo-della-massoneria/)
(VII) G. Catalan, Ebrei triestini fra ribellione e lealismo all’Austria nel 1848-1849, p.234, https://core.ac.uk/download/pdf/41176487.pdf
(VIII) Francesco S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Bari, Laterza, 1958, p. 7.