Il “ritorno” di Trieste all’Italia nei fatti del ’52 – ’53
I moti disordinati di Trieste del 1952 – a cui la storia diede il nome di fatti del ’52-’53 – rappresentarono la nicchia principale della propaganda filoitaliana perpetuata da gruppi esterni alla città, che ebbero la forza e la capacità di realizzare nei posteri una vera e propria falsificazione della storia, degna dei regimi più strutturati.
Agli inizi del 1951 avvenne il cambio di guardia nella zona A, ovvero la sostituzione del filoitaliano generale Airey con l’imparziale e prudente generale Winterton. Ciò a dimostrazione della volontà degli Alleati di risolvere definitivamente il problema di Trieste, dato che la Jugoslavia, dopo la rottura Tito-Stalin del 1948, tentava tacitamente di concretizzare le proprie pretese egemoniche sulla zona B. Da parte italiana, l’ostracismo nei confronti dei principali gruppi indipendentisti della zona A – «Fronte dell’Indipendenza» (cui nel 1953 venne completamente sfasciata la sede, come vedremo) e «Blocco triestino» – congiunto ad azioni propagandistiche di un nazionalismo esasperato, mettevano in serio pericolo la stessa stabilità interna della zona A. La questione di Trieste, con la sua importanza sia storica che strategica, divenne in quegli anni chiave per la delineazione delle future alleanze della nuova Europa che si stava costruendo dalle ceneri dell’Europa prebellica: un’Europa spartita ad Est sotto l’influsso dell’URSS, ad Ovest sotto l’egemonia americana mascherata da democrazia. Trieste assunse particolare importanza per gli Alleati in quanto città chiave per tentare l’avvicinamento della Jugoslavia all’Occidente, dopo la rottura con Stalin e la conseguente uscita dal Comintern. Essendo l’Unione Sovietica favorevole alla piena attuazione del TLT quale stato a sé – tant’è che nell’ottobre del 1953 propose al Consiglio di sicurezza dell’ONU la nomina a governatore del colonnello svizzero Hermann Flückiger (già proposto a tale carica dagli inglesi nel 1947) -, gli Alleati proponevano la spartizione del TLT tra Italia e Jugoslavia: fu così che il 20 marzo 1948 venne stabilita la dichiarazione tripartita, con cui si proponeva all’Unione Sovietica il ritorno di Trieste all’Italia, tenuto conto che “[…] il carattere della zona jugoslava è stato del tutto alterato e che virtualmente la zona è stata incorporata alla Jugoslavia attraverso procedure che non rispettano il desiderio manifestato dalle popolazioni di dare a questo territorio una vita democratica indipendente”.
Data la non ottemperanza operativa di tale dichiarazione (Trieste infatti assunse l’amministratore italiano solo nel 1954), il vero scopo della dichiarazione risulta legato piuttosto alle elezioni che si sarebbero tenute in Italia, le quali videro riconfermato il coronamento della DC a scapito dei comunisti. Il Partito Comunista Italiano era infatti il più forte e meglio organizzato partito comunista occidentale e si temeva, qualora avesse vinto le elezioni, l’inevitabile avvicinamento dell’Italia all’URSS e quindi – indirettamente – la possibilità concreta che si venisse a costituire il TLT, come i sovietici avevano proposto – bisogna infatti tener presente che, come tutti i partiti comunisti, anche quello italiano poneva maggiore importanza alla linea assunta dal Cremlino rispetto agli interessi propriamente nazionali. Una volta assoggettata l’Italia con la vittoria della DC dall’indubbia fedeltà atlantica, restava la Jugoslavia, con la quale però risultava assai arduo costituire un aggancio politico, vista la sua notevole capacità di destreggiarsi con assoluta indipendenza tra le parti. Così gli USA tentarono di «comprarsi» la Jugoslavia aumentando notevolmente gli aiuti economici – già considerevoli – nei suoi confronti, approvando a fine anno 1950 lo Yugoslav Emergency Relief Assistance, patto che assicurava al paese un’apertura di credito di 38 milioni di dollari.
Dalle crescenti attenzioni degli Alleati nei confronti della Jugoslavia, scaturì la volontà italiana di giungere ad un accordo bilaterale al fine di spartirsi il territorio del TLT – i negoziati ebbero inizio a Parigi nel novembre 1951, in occasione della VI Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ebbero Bebler come rappresentante della Jugoslavia e Guidotti come rappresentante dell’Italia. Intimamente connesse ai negoziati sono le elezioni amministrative del TLT, previste prima per l’autunno del 1951, ma che vennero poi spostate all’anno seguente a seguito di ripetute pressioni esercitate dal governo italiano sia a Londra che a Washington. Questo perché, da parte italiana, vi era la paura che le polemiche italo-jugoslave, la linea adottata da Winterton e i non trascurabili vantaggi economici del GMA, finissero per favorire i partiti indipendentisti, a scapito di quelli «nazionali».
I negoziati ebbero risultati fallimentari, vista da un lato la netta decisione jugoslava di considerare lo status quo come base per qualsiasi tipo di discussione, dall’altro invece la parte italiana che considerava la dichiarazione tripartita come necessario punto da cui partire. L’Italia si appellava inoltre al principio della «linea etnica continua» – che avrebbe dovuto assicurarle tutta la fascia costiera del TLT – , mentre la Jugoslavia nel 1952 propose l’attuazione del TLT sotto amministrazione congiunta italo-jugoslava, con avvicendamento triennale dei governatori. Da questo stato di generale impasse, scaturì a Trieste, a partire dall’anniversario della firma del trattato di pace (10 febbraio), tutta una serie di iniziative volte ad alimentare la propaganda filoitaliana nell’opinione pubblica, venendo attuate: “pressante campagna propagandistica attraverso la stampa quotidiana; assemblee di esuli promosse dal CLN istriano; denuncia da parte della Curia triestina delle persecuzioni religiose nel Territorio amministrato dagli jugoslavi; presa di posizione della Giunta comunale contro le «vessazioni» in Zona B”. Tutto ciò portò il sindaco Bartoli a indire una solenne manifestazione patriottica il 20 marzo – anniversario della nota tripartita – atta a sottolineare l’indissolubile legame fra Trieste e la zona B, venendo inoltre formato, sotto la presidenza stessa del sindaco, il «Comitato per la difesa dell’italianità di Trieste e dell’Istria», cui aderirono i rappresentanti di tutti i partiti italiani, delle associazioni e degli enti nazionali, combattentistici, culturali, artistici ed economici locali. Sull’origine di detto movimento propagandistico – e cioè se la sua genesi sia un’idea nata a Trieste o piuttosto suggerita da Roma – non risulta documentata nessuna delle due ipotesi.(I)
L’epilogo della manifestazione del 20 marzo è alquanto noto, qui ci limitiamo a scrivere la cronologia degli eventi.
Visto il carattere “sempre più vistoso che si voleva dare all’iniziativa”, che includeva la pubblicazione di un opuscolo da parte di alcuni giornalisti, la sospensione di tutte le attività cittadine e un lancio aereo di manifestini sulla città, nonché dell’evidente tentativo di voler condannare le «persecuzioni» jugoslave, il generale Winterton proibì la manifestazione pubblica all’aperto, autorizzando solo la celebrazione dell’anniversario del Teatro Verdi e un concerto della Lega Nazionale in Piazza Unità. Esplose la ressa, con scontri tra manifestanti e polizia civile, che portarono a 61 arresti, 30 civili e alcuni agenti leggermente feriti; il giorno seguente si ebbero altri scontri anche se più isolati, assumendo un carattere chiaramente anglofobo; infine, il 22 vi fu una nuova serie di scontri con 61 arresti e oltre 150 feriti (106 civili e 51 agenti). Nel corso della giornata si registrarono azioni di tipo squadristico, venendo assalite la Biblioteca inglese di Via Beccaria, il cinema «Principe» in Viale XX Settembre, i locali della NAAFI in Via Coroneo, il British Officers Club del Tergesteo, l’edificio dell’YMCA, l’American Store in Largo Barriera Vecchia, inoltre fu tentato l’assalto alla sede del «Fronte dell’Indipendenza» e uno scontro con la polizia civile causò gravi danni al negozio Pitassi.
Nonostante tutto, la manifestazione raggiunse, almeno in parte, l’obiettivo proposto: concentrare l’opinione pubblica sulla questione di Trieste, tant’è che fra il 25 e il 27 marzo manifestazioni a favore di «Trieste italiana» ebbero luogo in varie città della penisola. Anche l’anno seguente si registrarono violenze specialmente da gruppi neofascisti, con l’intento di rilanciare l’anniversario della nota tripartita e una larga mobilitazione di forze si raccolsero a Trieste, provenienti da varie città italiane.
Il 7 giugno 1953 De Gasperì uscì sconfitto dalle elezioni e venne sostituito dal nuovo governo Pella. Nel marzo dello stesso anno avvenne la morte di Stalin, il che pose le basi per un nuovo avvicinamento della Jugoslavia all’URSS. Pella, nel presentare alle Camere il suo governo, esasperò i toni della contrapposizione alla Jugoslavia, sottolineando la necessità di tutelare in campo internazionale gli interessi dell’Italia, ostentando una posizione di maggior indipendenza nei confronti degli alleati occidentali e richiamandoli al rispetto degli impegni assunti nella dichiarazione tripartita. La Jugoslavia replicò a tale discorso attraverso una dura nota di commento, che pervenne però a Roma non nella versione originale (della Jugopress), ma nella sintesi dell’agenzia americana United Press, il che portò ad un’incomprensione che venne interpretata come volontà da parte della Jugoslavia di annettere la zona B.
Pella reagì mobilitando l’esercito verso il confine jugoslavo. Tito pronunciò un discorso molto duro, asserendo che qualora l’Italia volesse occupare Trieste per poi discutere sulla zona B, l’unica soluzione sarebbe l’annessione dell’entroterra sloveno alla Jugoslavia e la internazionalizzazione di Trieste. Pella rispose proponendo un plebiscito esteso a tutto il TLT, proposta che venne respinta dalla Jugoslavia.
E’ qui che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna decisero di chiudere definitivamente il problema di Trieste, trasferendo all’Italia l’amministrazione della zona A. Gli inglesi erano altresì favorevoli a rendere pubblica la notizia che si trattava di una soluzione definitiva, gli USA invece si opposero, arrivando all’infelice annuncio, l’8 ottobre, della cessazione del GMA e del passaggio di Trieste all’amministrazione italiana, senza diffondere le clausole nelle quali si stabiliva il carattere definitivo che gli angloamericani attribuivano a questa soluzione.
Questa soluzione non teneva conto della Jugoslavia, la quale mobilitò l’Armata popolare dichiarando che considerava questa scelta come un’aggressione al proprio paese, sostenendo che al momento stesso dell’entrata del primo soldato italiano a Trieste, anche gli jugoslavi sarebbero entrati. Ciò portò a Trieste all’organizzazione di una nuova manifestazione antijugoslava e filoitaliana, in occasione dell’anniversario della fine della Prima guerra mondiale del 4 novembre. Nonostante il divieto di Winterton, il sindaco Bartoli aizzò gli animi esponendo la bandiera italiana sul municipio. La Polizia Civile la sequestrò, ma il giorno seguente un insieme di manifestanti si presentò davanti al comune per chiedere che venisse nuovamente esposta la bandiera. Furono danneggiati un automezzo britannico ed una jeep della Polizia Civile, a metà mattina un numeroso corteo assalì la sede del Fronte dell’Indipendenza devastandola, gettando il mobilio in strada e incendiandolo. In piazza Unità si verificarono nuovi violenti scontri che causarono 2 vittime e il ferimento di oltre 30 persone. La successiva esplosione di bombe a mano fece altre 2 vittime e un’altra decina di feriti.
Tutto ciò fu linfa vitale per la propaganda per giornali come Messaggero Veneto e Giornale di Trieste (Il Piccolo), i quali ostentavano con toni trionfalistici l’italianità di Trieste. Persino durante la seduta del consiglio comunale il rappresentante della DC concludeva il suo discorso con analoghi toni:
“Amici, bruciamo nella fiamma dell’amore della patria, della libertà, della civiltà che ci accomuna, le nostre divergenze ideologiche e uniamoci, per far fronte al comune pericolo. Mentre noi litighiamo, a pochi chilometri di distanza, sta il nemico, guatando ed annusando la preda agognata, e gode di ogni segno di debolezza che noi diamo con i nostri dissensi”.
Una volta appurate le volontà della Jugoslavia e vista l’impossibilità di un incontro a quattro come precedentemente proposto, si arrivò ad indurre l’Italia nelle trattative, che portarono il 5 ottobre ’54 alla firma del memorandum d’intesa fra Italia, Jugoslavia, Stati Uniti e Gran Bretagna, che sancì la definitiva «spartizione» del TLT.
Note:
(I) Tant’è che i due storici di riferimento, cioè il Duroselle e il Novak, non sono concordi: il primo parla di origini «oscure», mentre il Novak sostiene la tesi dello storico jugoslavo J. Jeri secondo cui i fatti erano il prodromo di un nuovo periodo, caratterizzato da forti tensioni e scontri fra «annessionisti» italiani e GMA.
Il materiale per questo articolo è stato tratto dal capitolo “I fatti del 52′-’53” del Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945-75 a cura dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli – Venezia Giulia.